Nella "società dell'immagine", della "forma", cioè della massima, "comunicabile" "chiarezza", l'arte, a tutti i livelli, ha paradossalmente assunto aspetti di controversa imperscrutabilità, si è fatta "oscura", "informe" ("informale"), "incomprensibile"; ma questo fenomeno pure apparentemente indecifrabile potrebbe avere una sua 'spiegazione' perché strettamente correlato alla 'scomparsa' 'personale' (l'"impersonalità": si pensi ai Simbolisti, ai Naturalisti, a Verga) perseguita dalla fine dell'Ottocento, e per gran parte del Novecento, dell'"autore". L'artista, in quanto "assente", non riconduce più all'"ordine" espressivo il mondo, non lo 'riscatta' dalla sua intricata anonimità racchiudendolo in linee di trasparente 'compostezza' ed 'euritmìa' - come fin dalle origini dell'attività creativa -, lasciando che esso, non preventivamente 'in-formato', tradotto in 'forma', dalla sua vigile, 'demiurgica' 'presenza' sempre concettualmente depositaria, a qualunque titolo, di 'valori' (ideologici, sociali, umanitari, emotivi), regredisca a 'oggetto', e poi a 'cosa', e poi inerte 'materia' - per dirla con i Futuristi -, malamente affastellata insieme a comporre in modo caoticamente 'virtuale', quando non esplicitamente derisorio e provocatorio, quello che una volta era un 'quadro', uno 'spartito musicale', una poesia...Da qui, a peggiorare la situazione, nasce il 'tradimento ermeneutico' del critico: quando c'è un'arte 'oggettiva', con un 'autore' ben presente a tutelarla, il critico doverosamente la 'interpreta', la commenta o la chiosa, ma nulla di più; in 'assenza' dell'autore, invece, e alle prese con un'arte 'informe' e priva di chiari, vincolanti riscontri 'reali' (una fisionomia, un'armonia, un 'verso'), il critico, necessariamente, mentre 'interpreta', si sostituisce all'autore, ne occupa lo spazio lasciato divulgativamente 'vuoto', dice quel che l'autore non dice, comunica quel che l'autore non comunica, 'aggiungendo' in tal modo all'opera che esamina quello che non c'è (e l'artista non vuole che ci sia, altrimenti sarebbe 'comprensibile'), parlando quindi di tutt'altro e mascherando, o 'tradendo', forse è meglio dire, l'oggetto del suo interesse ermeneutico. E così da oltre un secolo noi non sappiamo in realtà più nulla dell'arte, non sappiamo nemmeno se ci sia stata, e ci sarà ancora, 'arte' (è 'viva', è, come in modo approssimativo talora si afferma, 'morta', è, anzi, propriamente 'qualcosa'?), ma sappiamo quel che il critico ci 'dice', 'comunicandoci' quanto, 'in sé' - come 'quadro', 'spartito musicale', 'poesia' - sta ostinatamente 'muto', perché, appunto, intrinsecamente, 'incomprensibile' (e affidato, al massimo, all'inattendibile, 'effimera' 'sensazione' 'individuale') nella contemporanea, perlomeno enigmatica, se non proprio sconcertante, vicenda espressiva...
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