In ogni piccolo mondo vitale, il controllo sociale della morte impegna ingenti capitali sociali e culturali. Ogni qual volta muore un individuo, i riti e le ideologie funerarie si attivano per difendere la stabilità sociale, per rintuzzare quelle cieche forze inerziali della natura, che hanno fatto ancora una volta la loro vistosa e virulenta irruzione nella comunità.
Chi “parte” obbliga il proprio gruppo sociale ad attraversare una crisi che il rito ha la funzione di regolare e di mantenere all’interno di binari culturalmente prefissati: la morte deve essere tenuta sotto controllo mediante il ricorso a predisposti e ben collaudati istituti sociali e protocolli rituali. La loro capacità di drammatizzazione, all’interno del circoscritto contesto cerimoniale, riesce a trasferire il lacerante dramma reale, l’
hic et nunc rappresentato dalla inesorabile incombenza del cadavere, su di un piano completamente culturalizzato in cui la società, qualsiasi società umana, mediante il continuo processo di erosione dell’assolutezza delle leggi della natura, sembra acquisire un incontrastato potere su tutto ciò che riguarda la sopravvivenza degli individui e dei gruppi.
L’indagine etnografica ha permesso di rilevare, anche per il mondo rurale subalterno umbro, un quadro complessivo caratterizzato da numerose pratiche culturali e da importanti istituti sociali connessi alla morte, che questo lavoro vuole restituire in tutta la loro ricchezza e complessità.
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