Allo stato dei fatti c’è un libro (Louis Montalto, Il Quinto Elemento, Perugia, Morlacchi, 2020, trad. Alfio Vecchio) finalizzato allo studio di certi interrogativi ‘esistenziali’ fonte, spesso, per loro natura ( ‘principio’- ‘fine’, alias ‘vita’-‘morte’; determinazioni morali, ‘bene’-‘male’; suggestioni e influenze teologiche…) di assai presumibile, imprudente pretenziosità, che l’Autore ha cercato di neutralizzare affidandosi a una ‘struttura di sostegno’ ‘protettiva’ – note, bibliografia, citazioni: l’“apparato”, in gergo-, comunque a disposizione di chi voglia verificare o approfondire intuizioni, deduzioni, idee esposte. Quel libro è stato tradotto dal francese da un collega dell’Autore che, però, ha travalicato il suo compito di semplice traduttore, restando improvvidamente invischiato e coinvolto più del necessario nelle tematiche elaborate, senza perciò cogliere il vero ‘punto debole’ del lavoro: proprio quella ‘struttura di sostegno’, quel ‘guscio’ accademico che imprigionava, rendendone difficoltosa la ricezione, il ‘nucleo’ concettuale approntato . Peraltro già di suo sufficientemente complicato. L’Autore ha poi ceduto, per motivi, come dire, anagrafici (l’età tarda aggravata da infermità varie) al traduttore tutto il materiale delle sue indagini, il ‘retroterra’ di appunti, integrazioni, postille, aggiungendo, poi, quanto era servito per conferenze, ‘conversazioni’, ‘incontri’ sugli argomenti trattati. E in pratica gli ha suggerito di correggere l’errore fatto, di sottrarsi all’“alibi” di una ‘copertura accademica’, più o meno direttamente invitandolo a liberare da quel “guscio protettivo” i contenuti, sintetizzandone semplicemente, linearmente l’essenza, il nucleo, appunto, in un Compendio, utile, tra l’altro, anche per eventuali ‘presentazioni’ orali. Ed ecco, dunque, l’origine e la natura di questo libricino che il traduttore, ora anche ‘autore’, reduce dalla sua dura fatica ‘riassuntiva’, si augura sia di piana lettura, nella presentazione di un intreccio riflessivo dipanato, seppure nella netta ‘diversità’ delle argomentazioni, quasi come ‘racconto alternativo’ di certa vicenda umana considerata ‘parallela’ a quella intesa solo religiosamente ‘creata’. Pur senza riferimenti a tanti, fondamentali nel tempo, requisiti dottrinari, precettistici, dogmatici, all’origine, nella religione a noi più prossima, di un’etica ‘bella’ e coinvolgente però, forse, nei fatti, da sempre, come la Storia ribadisce, inadeguata (ha mai impedito una sola guerra e quante ne ha provocate – come, del resto, ogni morale ‘religiosa’… –), è stato tuttavia possibile formulare la minima proposta, almeno, di una ‘morale’ solo ‘antropologica’. ‘Morale antropologica’ strettamente attinente, tutta ‘interna’ al vivente-uomo come si è ‘formato’ (‘individuo’) tra gli altri viventi e, proprio per questo, allora, certo senza ‘tutele’ e ‘dipendenze eteronome’, ma che nondimeno, quella vicenda umana potrebbe, forse, ugualmente giustificare, rendere ancora lecita in natura e in grado, chissà, di ostacolare, se non altro, per quanto possibile, il destino di ‘estinzione’ ad essa, come a quello di tutti i viventi, biologicamente implicito: e materializzato, per la nostra specie, nell’immedicabile replicarsi e concrescere incessante del cosiddetto ‘Male’…
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