La partecipazione dovrebbe essere metodo e insieme strumento delle politiche sociali, in quanto politiche destinate in modo più immediato a rispondere ai bisogni delle persone. Tuttavia questo assunto manifesta oggi tutta la propria fragilità. Le politiche definite come “sociali” sono infatti quelle che con maggiore immediatezza hanno subìto gli effetti dell’involuzione economica, ma che hanno anche evidenziato i più gravi fraintendimenti del concetto di “crisi”, confinato nella miopia schiacciante dell’emergenza finanziaria. In realtà, riguardate in una prospettiva più ampia, le politiche sociali disvelano un terreno più articolato, sempre meno riconducibile alle categorie del bisogno e ai cataloghi degli status su cui si era edificato lo Stato sociale e sempre più connesso alle condizioni materiali del vivere. Governo del territorio, pianificazione urbana e rurale, lavoro, sanità, immigrazione, disastri ambientali: questi comparti dell’agire pubblico sono sempre meno confinabili in ambiti separati; e le politiche sociali sono sempre più spesso il serbatoio dove affluiscono i bisogni generati, soffocati o acuiti dai difetti delle altre politiche. In questo quadro anche il tema della partecipazione assume coloriture diverse, meno scontate e più esigenti, nella costruzione delle politiche sociali quale terreno di trincea del governo delle vite; una partecipazione che chiede di essere “presenza” ancor prima che cittadinanza formale, sovranità praticata oltre che rivendicata.
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