L’Italia non è solo moda, olio e vino; l’inventiva, la creatività e l’ingegno degli Italiani sono presenti in una miriade di piccole e medie imprese dei comparti meccanico, elettromeccanico ed elettronico. Si tratta di aziende con fasce di fatturato che vanno dai 5 ai 150 milioni di Euro con organici oscillanti tra le 15 e le 150 persone. In molti casi tali imprese lavorano come sub-fornitrici di imprese di maggiori dimensioni. Al di là delle differenze tra settore e settore, tutte queste imprese condividono la necessità di innovare costantemente. Possiamo dire che è proprio la spinta innovativa che le tiene in vita e ne consente la crescita e lo sviluppo. Quasi sempre tale spinta ha origine nell’energia e nell’entusiasmo di coloro che definirei “imprenditori high-tech illuminati”. Nel corso di diverse esperienze professionali ho avuto l’opportunità di collaborare con alcuni imprenditori caratterizzati da tale slancio verso l’innovazione. Ho osservato il loro comportamento in relazione all’approccio alle decisioni ed al modo di confrontarsi con i propri dipendenti e col mondo esterno. Certamente non si può parlare di omogeneità degli stili di gestione che vanno dall’approccio collaborativo al modulo fortemente autoritario e dirigista. Ciò che invece accomuna tutti gli imprenditori “high-tech” con i quali ho collaborato è il desiderio di trasformare la propria azienda in un sistema organizzativo ideale basato su buone pratiche di gestione ed in grado di camminare con le proprie gambe. Credo sia questo il motivo principale che li porta a ricercare nuove idee , metodi, soluzioni organizzative e strumenti manageriali, nella speranza che possano compiere il “miracolo” e trasformare il ranocchio in un principe azzurro in grado di destreggiarsi con successo nel mare della competizione. In alcuni casi tale ricerca si sostanzia nell’avvicendamento di Direttori Generali prima considerati i “salvatori della patria” e dopo qualche tempo gettati alle ortiche perché causa di tutti i mali dell’azienda. Per l’imprenditore high-tech il fallimento non è tanto la perdita di competitività quanto l’ennesima conferma dell’incapacità di realizzare “l’alzati e cammina” e di dover periodicamente immergersi fino al collo nelle idiosincrasie gestionali della propria azienda. Mi rendo conto che la sfida è complessa e non penso esistano formule magiche. D’altro canto è evidente che l’unica risposta al problema non può che essere la “learning organization” e cioè un sistema azienda caratterizzato da una estesa fiducia nel cambiamento, nella possibilità di migliorare, nell’importanza di storicizzare e condividere le informazioni, nel desiderio di apprendere nuove conoscenze applicandole a beneficio del miglioramento delle performance dei processi aziendali.
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