Un luogo comune che ha attraversato quasi tutta la storia dell’informatica e delle tecnologie dell’educazione, e con il quale capita ancora spesso di imbattersi, è quello che identifica il personal computer con un congegno che ha decretato la fine della creatività individuale. In questo libro si sostiene che, a ben guardare, le cose non stanno proprio così.L’idea che di solito si ha del personal computer e dell’informatica è quella di uno strumento e di un settore che consentono di risparmiare tempo, comunicare rapidamente, abbattere confini geografici, disporre di informazioni, etc.: ciò è vero se consideriamo il personal computer un dispositivo al pari di una straordinaria calcolatrice, o di un potente telefono. Una seconda idea molto diffusa è che, al contrario, queste macchine facciano perdere tempo agli studenti: giornate intere passate davanti allo schermo di un computer si conciliano difficilmente con la concentrazione, lo studio, i libri di testo, l’insegnante e la scuola tradizionale.Entrambe queste idee non fanno parte di questo libro: il computer come ambiente per apprendere non è una macchina, nel senso di una «macchina di Turing». Ciò che si può ottenere di significativo, a scuola, da un computer è qualcosa di più che un semplice risparmio di tempo. L’uso didattico dell’elaboratore implica un cambio di atteggiamento mentale nei suoi confronti poiché esso, opportunamente usato, può diventare un ambiente utile per fornire ai bambini (e agli adulti) nuove possibilità di apprendere, di pensare, di migliorare le proprie capacità di approccio ai problemi. Usare un computer a scuola non è importante per capire l’informatica, per sapere come è fatto un calcolatore o per conseguire la «patente europea per l’uso del computer» (!), ma per comprendere meglio le varie e complesse possibilità che l’uomo ha a disposizione per esplorare e conoscere la realtà che lo circonda.
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