il Quaderno n° 435 - 28.10.2006
di
Annalisa Parenteleggi l'articolo
Claudio Marotti e il riesame storico del sindacato italiano
Donare il passato fervore alle giovani leve venture
Il sociologo sannita racconta con partecipazione le lotte, le passioni e il desiderio di ricostruire. Un’analisi del tessuto sociale presente, dei suoi problemi, ma pure delle risorse su cui contare per progredire
Sabato 30 settembre, presso la libreria editrice Caudium della cooperativa sociale “Maccacaro” di Montesarchio, il sociologo Claudio Marotti, in occasione del centenario della Cgil, ha presentato il saggio “Specificità del movimento sindacale italiano” (Morlacchi Editrice, Perugia).
Di netta impostazione didattica, il testo ricostruisce con passaggi vivaci la storia sui generis del sindacato italiano, soggetto politico, ma soprattutto fenomeno sociale; un’associazione che, da sempre, ha svolto un ruolo dinamico ed elastico tale da permettergli di rispondere e adattarsi alle varie esigenze della mutevolissima Italia del dopoguerra, dell’industrializzazione, dell’età che Touraine definisce post-industriale.
In questa analisi, non soltanto politica, ma soprattutto culturale, l’autore sceglie come modello sindacale la Cgil, per il suo costante ruolo di protagonista nell’iter di democratizzazione dell’Italia.
Ne abbiamo parlato con l’autore.
Quando e perchè ha deciso di scrivere questo saggio?
Circa venti anni fa mi sono tuffato in un mirato lavoro di ricerca sul tema sindacale, ma ancora non avevo pensato di scriverci un libro. Ho deciso di portarlo a termine proprio adesso, perché penso che sia arrivato il momento di ricostruire la nostra società: il modello confederale potrebbe indurci alla riflessione e all’attuazione di forme d’intervento di ricostruzione di questa collettività “liquida”, non più strutturata, senza saldi punti di riferimento.
A quali lettori ha pensato di riferirsi?
Ai giovani. Devono essere loro i protagonisti di questa ricostruzione; al riguardo, vorrei ricordare che, nell’ultimo congresso della Cgil a Rimini, il tema centrale è stato “la ricostruzione del paese” e il segretario generale Guglielmo Epifani ha posto al centro di questo processo di ricostruzione proprio i giovani. Mai nella storia dei sindacati c’è stato un riferimento così mirato e preciso alle nuove generazioni. Senza dubbio, è importante rispolverare l’entusiasmo e l’energia anche dei miei coetanei (i cinquantenni) affinché possano costituire un valido supporto ad ogni genere di iniziativa in questo verso.
Manca ai giovani di oggi la passionalità per affrontare l’esperienza del sindacato?
Si, ma non potrebbe essere altrimenti: le passioni politiche nascono dalla memoria storica, dalla consapevolezza di ciò che accadde ieri. E, oggi, manca questa memoria come gli ideali che possano creare immaginari futuri. Si dissolvono le utopie. C’è chi fa politica e chi la subisce mantenendosi ad una considerevole distanza.
Ha una funzione metalinguistica quel suo stile inconfondibile ridondante di incisi, sospensioni, enfasi e prosodia?
Sì, ho pensato che proprio questo stile potesse essere un mezzo per tenere vincolato il lettore ad una riflessione che andasse aldilà del contenuto. In questo tipo di scrittura ho lasciato che si esprimesse liberamente la mia passione che, liberata sul piano narrativo, avrebbe contaminato l’obiettività del saggio.
Ho notato che il mio trasporto passionale si rafforzava man mano che la trattazione si dispiegava nella sua logicità. Non solo: ho lasciato che questa stessa mia passionalità si confondesse con quella dei grandi uomini del passato, quella dei discorsi e dell’impegno contro la marginalità di alcune fasce sociali del grande Giuseppe Di Vittorio, segretario della Cgil dal 1945 e presidente della Federazione Sindacale Mondiale dal 1948. Una passionalità che ho ricercato per non rischiare di sterilizzare un simile tema con vuoti schematismi.
Per lei che è abituato ad avere un contatto diretto con i giovani, cosa ha significato la scelta di un mezzo di comunicazione “mediata” come il libro?
Il libro ha costituito una ricerca corretta e poco invadente di confronto e comunicazione con la nuova generazione; un modo per insegnare senza imporre i miei insegnamenti. Il libro è lì, a disposizione del giovane lettore e contiene le definizioni di percorsi che, se non oggi, ma domani, dovranno essere compiuti.
Quale profilo assume il sindacato nel Mezzogiorno?
Come sappiamo, la realtà economica e sociale del Meridione è stata agricola piuttosto che industriale, pertanto, il sindacato si è adattato sin dall’inizio a seguire una linea assistenzialista. Di Vittorio fu persino accusato di aver programmato un piano di lavoro indirizzato quasi totalmente al miglioramento del disagio dei contadini del sud, trascurando la realtà proletaria che caratterizzava la dimensione sociale del settentrione. Queste accuse, assolutamente infondate, testimoniano in primis la premura della Cgil verso la nostra realtà e in secundis la capacità del sindacato di adattarsi alle specificità del tessuto sociale in cui opera.
Claudio Marotti lavora nel Settore Politiche Sociali della Regione Campania ed è responsabile degli Interventi a sostegno della condizione giovanile in Campania. È impegnato in studi e ricerche legati al disagio minorile e giovanile e dei soggetti a rischio. Dal 2005 è giudice onorario presso la Corte d’Appello, sezione minorenni, di Salerno.
Il Sannio Quotidiano - 02.11.2006
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La specificità del movimento sindacale italiano
Il volume indaga le caratteristiche peculiari nella storia del movimento dei lavoratori dal II dopoguerra all’età della crisi
L'influenza - che il movimento sindacale ha esercitato sull'evoluzione sociale, economica e politica italiana - è notevole. La valutazione, al riguardo, può essere più o meno positiva, ovvero negativa. Ma è opportuno conoscere questa tematica che Claudio Marotti, studioso sannita, ha affrontato nel volume intitolato “La specificità del movimento sindacale italiano”. Egli parte da una posizione di vicinanza e simpatia per il movimento sindacale. Il che non gli preclude d'essere lucido. Il suo giudizio sul movimento sindacale italiano è del tutto positivo per la fase del sindacato unitario guidato da Di Vittorio, il bracciante analfabeta, capace di autodidatta di diventare il leader indiscusso e stimato anche dagli avversari. Il sindacato, dal '45 al '48 e, seppure con minore intensità, almeno fino alla II metà degli anni '70 mostrò, per il Marotti, la capacità di rappresentare le istanze dei lavoratori in modo adeguato, sapendo negoziare con le controparti e acquistando prestigio istituzionale. Nonostante le scissioni che nel '48 ruppero l'unità sindacale e portarono poi alla nascita della Uil e della Cisl, fino ai primi anni '70, il sindacato manifestò la capacità di saper strutturarsi in modo efficace sul territorio e nei luoghi di lavoro. Grazie alla sue principali caratteristiche: duttilità e flessibilità di forme organizzative, tali da consentire una presenza capillare nei luoghi di lavoro. Ma, dagli anni '70 in poi la società conobbe profondi cambiamenti, dopo i quali la fabbrica perse la sua centralità come luogo socio-politico basico. Il tramonto del modello di produzione tayloristica: il meccanismo seriale. Già in “occasione di una tavola rotonda negli anni '70 Luciano Lama faceva risalire la condizione di crisi al fatto che le cose che si intendevano cambiare incidevano profondamente nella società italiana, nella sua struttura e nei suoi rapporti di forza sociali”. Il sindacalismo italiano riteneva di potere superare i suoi problemi con soluzioni di carattere organizzativo. Sfida non facile. Al riguardo la posizione del Marotti è sì positiva ma permeata dal dubbio critico. “Negli anni '80 l'acuirsi della crisi incide fortemente sull'azione sindacale condizionandola e costringendola, il più delle volte, a ripiegare ... Si pone all'intero movimento sindacale una questione complessa e pressante di riforma delle strutture organizzative e insieme a questa, di adattamento del modo di fare politica e di adeguamento della strategia rivendicativa e vertenziale. Questione organizzativa, contenuti politici, forme di lotta, iniziative rivendicative, nuovi temi quali l'organizzazione del lavoro, l'assetto territoriale, il raccordo tra iniziative e lotte di fabbrica, del territorio e quelle sociali più generali ... Il concentrarsi su questioni di carattere organizzativo si ritorce contro il sindacato stesso impedendone a pieno la rappresentazione, il coinvolgimento, il raccordo e anche la politicizzazione di una diffusa protesta sociale; limitandone e rallentandone l'iniziativa e la sua influenza; indebolendone l'azione perché privi, appunto, del supporto di una parte consistente di nuovi lavoratori e ceti sociali portatori delle esigenze di rinnovamento e di istanze riformatrici. Non solo in tale scenario si potrebbero profilare nel tempo fenomeni di riflusso e disimpegno di queste forze e di consistenti gruppi sociali ... il fenomeno della disoccupazione giovanile di massa ... e a questi aggiungendosi, cumulandosi, risentimenti ... derivanti da una configurazione – anche nel mondo di appartenenza e di riferimento del sindacato – di due società distinte: una garantita e un'altra diseredata ed esposta alla marginalizzazione”. Il sindacato affronta la crisi. Ma è crisi di un modello particolare di rappresentanza, vale a dire quella sindacale o è crisi generale delle istanze rappresentative? La risposta del Marotti va nel secondo senso. Gli anni '90 hanno visto una crescita dell'emarginazione del ruolo delle fabbriche quale luogo centrale dell'attività produttiva e l'esplodere dell'economia dei servizi e dei lavori atipici. “Non solo in tale scenario si potrebbero profilare nel tempo fenomeni di riflusso e disimpegno di queste forze e di consistenti gruppi sociali ...”. Nonostante ciò per lo studioso il sindacato è “l'unico soggetto, l'unica forza sociale a farsi portatrice di una visione di coerenza e di razionalità complessiva sui problemi esistenti e sulle possibili soluzioni da operare”. Questa la posizione dell'autore. Più o meno condivisibile. Certo collide con tanta dell'odierno pensiero economico e giuslavoristico italiano (si pensi a Pietro Ichino) il quale ha assunto un giudizio negativo sulla istituzionalizzazione-burocratizzazione del sindacalismo italiano. Influssi concettuali che non sono disconosciuti dall'autore ad esempio laddove nota che “l'acuirsi della crisi incide fortemente sull'azione sindacale condizionandola e costringendola, il più delle volte, a ripiegare ... sul campo più strettamente economico-rivendicativo, mentre il carattere complesso della crisi richiede una forte unità di tutte le componenti del movimento sindacale e quel rinnovamento organizzativo auspicato dai vertici ...”. Tuttavia “il sindacato” gli appare come “l'unico soggetto, l'unica forza sociale a farsi portatrice di una visione di coerenza e di razionalità complessiva sui problemi esistenti e sulle possibili soluzioni da operare. E le iniziative proposte di recente indicate sull'inflazione, sul costo del lavoro e in generale sui problemi di politica economica e industriale, ne sono ... evidente prova”. Il libro è lettura interessante anche per chi non ne condivida il giudizio positivo sul mondo sindacale italiano e la sua storia. Infatti, presenta una bella analisi storico-critica sul sindacalismo italiano a partire dal secondo dopo guerra, capace di suggerire numerosi spunti di riflessione.
La voce della Campania - 12.12.2006
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Claudio Marotti e il riesame storico del sindacato italiano
Il lungo cammino del sindacato viene ripercorso nei suoi momenti più difficili, attraverso congressi e documenti, nel libro di Claudio Marotti intitolato 'La specificità del movimento sindacale italiano', pubblicato dall'editrice Morlacchi di Perugia.
Il sociologo sannita, che si occupa per la Regione Campania degli interventi a favore della condizione giovanile, tratteggia l'evoluzione delle lotte sindacali negli anni settanta ed ottanta, quando il ruolo delle confederazioni unitario assume particolare rilevanza contro il terrorismo e nella difesa dei diritti civili. Il saggio propone una 'radiografia' della Cgil, il più grande sindacato italiaino che, fin dai tempi di Giuseppe Di Vittorio, ha custodito gelosamente l'auto¬nomia dai partiti. Una caratteristica che ha consentito alla Cgil di crescere e di diventare una forza nazionale.
«Il sindacato scrive Marotti affronta con concretezza non solo i problemi del paese e dei lavoratori, ma anche quelli della democrazia e del coinvolgimento di vasti strati di disoccupati, di emarginati e di nuove forze emergenti nel processo di cambiamento della società». Una funzione riconfermata nell'ultimo congresso della Cgil di Rimini, dove campeggiava lo slogan 'Riprogettare il Paese'.
Il testo di Marotti è importante soprattutto per i giovani perché accende i riflettori su uno dei protagonisti della nostra storia democratica, proprio nel centenario della Cgil.
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