Varie mostre allestite dal 2005 ad oggi hanno permesso di riscoprire alcuni aspetti di Magritte, il grande pittore surrealista, a lungo rimasti nell’ombra: l’attività di pubblicitario professionista e di fotografo dilettante, nonché quella di regista amatoriale, cui si dedicò dal 1956. Il lascito dei suoi film costituisce un trait-d’union, tutt’altro che trascurabile, con l’intera sua opera e rivela sorprendenti anticipazioni del cinema moderno. La visionarietà del suo «Realismo magico», la banalità degli oggetti-simbolo ritratti o ripresi nella loro insignificante apparenza, il silenzio degli “uomini-bombetta” imprigionati e sospesi in uno sfondo imperturbabile, l’antropomorfismo delle forme metamorfiche e il mescolamento dei materiali ritornano impressi sulla pellicola, passando dal pennello alla macchina da presa, dalla tela allo schermo. Quest’ultimo tassello va a completare con coerenza un mosaico molto ampio e complesso. L’esperienza di Magritte, in veste di regista e di attore, si nutre dell’immaginario pittorico in trasformazione, ma cerca nel nuovo supporto l’agognato movimento della realtà invisibile, aprendo i limiti dello spazio statico del quadro. Il suo percorso trova così un arricchimento fondamentale in un cinema girato in luoghi quotidiani, con gli amici di sempre: un «cinématographe» – come lo chiama Magritte stesso – denso di humour e costruito per far sognare.
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