Aspettando i «nuovi media» come i vagabondi di Beckett aspettavano Godot. Forse è questo l’effetto più paradossale di tanta, forse troppa, saggistica sul tema, una profezia che non si è mai avverata almeno nelle versioni più utopistiche dei cantori del post-pensiero. Eppure, ci piaccia o no, una rivoluzione silenziosa si è compiuta e continua a compiersi. Silenziosa e invisibile, aggiungiamo, come l’acqua per i pesci della celebre parabola mcluhaniana, inconsapevoli di essa come noi dell’aria che respiriamo.Ecco allora l’idea che sottende un testo come Panorami mediali: non tanto inseguire il mutamento nel suo farsi, soggiacendo alla dura legge dell’attualità, quanto, piuttosto, prendere le distanze da esso e cercare di guadagnare un punto di osservazione che permetta una «visione d’insieme». È da questo punto che prendiamo coscienza del nostro presente e sappiamo riconoscere i punti di rottura, così come gli elementi di continuità, con il passato.
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