Un libro è sempre un messaggio, o, almeno, vuole esserlo. Si scrive per comunicare qualcosa, utilizzando anche, se del caso, la soluzione virtuale. Ma la carta resiste. E poi si presta a rotolare tra le mani, ad essere posseduta dagli occhi, ad imbrattarla, se occorre, con sottolineature di colore.Cosa dice, comunque, il messaggio? Regge alla critica e alla superficialità, oppure crolla, si frantuma, si dissolve non appena si cerca di assumerlo in tutta la sua portata. Ebbene l’Autore non può trincerarsi dietro ad un non-senso, non può non confessare la natura robusta, comunque sobria, del messaggio stesso, senza tacere l’effetto che è destinato a produrre nelle intenzioni di chi lo trasmette. Altrimenti è superfluo scrivere. Un giro di parole, insomma, per introdurre la volontà, espressa dal contenuto, di consegnare un’idea, lungamente elaborata, capace di orientare il cammino degli uomini alla ricerca di una definizione universale, solida e duratura su un tema che è molto familiare nell’uso comune, ma sempre e comunque variamente accreditato. Nell’interpretazione che se ne dà, è destinato ad incrementare la rissa delle ipotesi, la confusione semantica, l’uso differenziato. Questo tema riflette l’espressione cultura, una parola magica, la cui matrice non può essere equivocata, né assunta a seconda delle circostanze. Può, difatti, essere ripulita delle tante scorie che la sovrastano in ragione dell’uso che se ne fa? Per rimanere nel suo proprio alveo a noi pare necessario riscoprirne l’intrinseca natura, cioè ciò che le dà significato, abito e forma tanto da ricondurla ad un unicuum che non teme sofisticazioni né, meno che mai, equivoci e fraintendimenti.
resta aggiornato sulle novità editoriali e sugli eventi Morlacchi
Facebook
Youtube
Instagram