Christopher Marlowe (1564-1593) è considerato il secondo grande drammaturgo elisabettiano, dopo il contemporaneo Shakespeare. Traduttore di Ovidio e Lucano e probabile spia al servizio di Elisabetta I, con drammi celebri come Tamerlano il Grande, Dottor Faustus, L’Ebreo di Malta e Edoardo II riempì i teatri di Londra tra il 1589 e il 1593, anno della sua misteriosa morte durante una rissa in una locanda di Deptford. La vita movimentata e le accuse di ateismo e sodomia contribuirono alla sua damnatio memoriae, finché la riscoperta da parte dei Romantici non gli assicurò un posto di diritto nel canone della letteratura di lingua inglese.
Tradizionalmente considerato il suo ultimo dramma, Il Massacro di Parigi (1592) è una spietata condanna delle guerre di religione che insanguinavano l’Europa del tempo. Nonostante lo stato forse mutilo del testo e la minore poeticità rispetto agli altri suoi drammi, la Francia di fine Cinquecento portata in scena da Marlowe, con i suoi estremisti pronti a tutto in nome della loro interpretazione dei testi sacri, non appare oggi poi così remota agli occhi degli spettatori moderni.
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