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Rassegna stampa
La produzione Morlacchi è stata recensita in più occasioni dagli organi di stampa. In queste pagine raccogliamo tutti gli articoli di quotidiani e riviste nazionali e internazionali che si sono occupati dei nostri volumi.
IL CINEMA A PEZZI
Il Giornale dell'Umbria - 13.01.2008
di Danilo Nardoni
leggi l'articolo
Intervista al antico cinematografico. In libreria il suo ultimo libi che offre una panoramica del settore."Il cinema italiano è in grande crisi"PERUGIA Ci sono pezzi di cinema raccontati e non necessariamente legati fra di loro, ma che pagina dopo pagina si ricompongono per dare piena visione complessiva del cinema italiano contemporaneo. C'è inoltre un cinema a pezzi, molto più difficile da ricomporre. Sono le due facce del nuovo libro di Fabio Melelli, uscito da poco in libreria per i tipi di Morlacchi Editore. Quella che prevarica, già dalla scelta del titolo "Il cinema a pezzi" e non "pezzi di cinema" è la seconda.E' chiara dunque per Melelli l'intenzione di mettere insieme divagazioni sul cinema, ma con la voglia di andare a fondo delle questioni che lo riguardano. Lo fa con la competenza e una freschezza di racconto che solo una penna che sa e conosce veramente questa materia può fare.Il libro del critico cinematografico perugino, conduttore anche dell'originale trasmissione "Storie del cinema" che va in onda periodicamente sull'emittente televisiva umbra Tef Channel raccoglie alcuni suoi articoli pubblicati nel corso degli ultimi anni per il quotidiano L'Indipendente, oltre a una serie di saggi inediti. E da questi articoli, saggi, testi per conferenze e lezioni viene fuori un quadro, un mosaico di interventi dai quali si può evincere la nostalgia per un cinema che va scomparendo "a favore di nuove prospettive evolutive non necessariamente entusiasmanti".Ai ritratti di celebri cineasti italiani e stranieri, come i registi Alberto Lattuada e Sergio Leone, il produttore Peppino Amato, gli attori Tomas Milian e Monica Bellucci, si affiancano tra le altre, le ricognizioni di generi di grande successo come il poliziottesco, il peplum e il western all'italiana, nella convinzione che solo dal passato il cinema italiano può trarre quella forza artistica e produttiva che gli permetterebbe ancora oggi di essere leader nel mercato mondiale.Melelli, già autore, da solo o con altri, di quindici volumi dedicati al cinema, con questa sua nuova fatica affronta dunque una molteplicità di argomenti, affrescando una visione coniplessiva del cinema italiano contemporaneo, stretto tra una fiction televisiva "inguardabile e spesso insulsa" e un cinema hollywoodiano "troppo spesso piegato ai soli termini mercantili". Sono numerosi gli spunti a cui si presta questo libro, che permettono di rivolgere all'autore alcune domande.In copertina troviamo un'immagine sicuramente molto indicativa, del 1916, quella di Mary Pickford con una macchina da presa. Lei infatti, insieme a Charlie Chaplin e altri cineasti dell'epoca, era tra quelle persone che decisero di fondare la United Artists, nell'intento di promuovere un cinema che si discostasse dall'industria hollywoodiana. Arrivando ai gioini nostri, perché il cinema fa ancora difficoltà a liberarsi dir questa "gabbia"? Chi sono, se ci sono, i Chaplin o le Pickford di oggi?"Purtroppo di geni nel mondo del cinema se ne vedono sempre meno, ciò non toglie che anche nel cinema americano riescano a emergere autori non allineati alle pure logiche del mercato. Ma non è un caso che Woody Allen abbia realizzato i suoi ultimi film in Europa e registi corde Martin Scorsese si vedano brutalmente tagliati e rimontati i loro film, privati del cosiddetto "Final Cut", ovvero del controllo assoluto della copia definitiva. Che dire poi di quei cineasti autenticamente indipendenti come De Palma, Cimino, Romero, costretti all'inattività per lunghi anni?".Dopo la lettura di questo affresco sul cinema italiano contemporaneo, si può condividere il fatto che "il cinema è a pezzi", modificando leggermente il titolo che hai scelto. Indichi tra i responsabili, oltre al peso commerciale del cinema hollywoodiano, anche quella specie di cinema che sono le troppo spesso inguardabili fiction televisive. II cinema italiano è ormai solo questo?"Credo che siamo al termine di un processo irreversibile: la televisione, pubblica e privata, ha mutato e pervertito l'immaginario nazionale, impoverendolo oltre ogni misura. Piuttosto che sul cinema cosiddetto impegnato e di denuncia, si è preferito, anche politicamente, investire su un prodotto consolatorio, le cui strutture narrative sono state mutuate acriticamente dagli Stati Uniti. Il lieto fine, l'edulcorazione dei contesti sociali e uno schematico manicheismo sono diventati i punti cardine della fiction, che è inguardabile non solo perché ripetitiva e prevedibile, ma anche perché sembra dimentica della grande tradizione del nostro cinema, tradizione che discende direttamente dalla nostra grande arte rinascimentale. Sul piccolo schermo tutto viene sacrificato alla piena visibilità: non ci sono più le ombre, quindi non ci sono più sfumature psicologiche e la realtà non viene più restituita nelle sue ineliminabili ambiguità".Definisci quella degli anni '70 una cinematografia forte. Ci troviamo costretti a rimpiangere la personalità di registi, attori, caratteristi e produttori del passato. Parli infine di una "rivalutazione necessaria" del cinema del ventennio. Proprio oggi che, come dici, il cinema italiano si sta adagiando su stanchi prototipi, è possibile dal suo passato ritrovare la forza per salvarlo?"Negli anni Settanta, quando Hollywood non aveva ancora investito stilla virtualizzazione dell'immagine con il suo inevitabile correlato tecnologico, il nostro cinema poteva avere un respiro epico agganciandosi a modelli narrativi forti veicolati dalla maschera del genere. I nostri polizieschi, all'epoca bistrattati dalla critica, venivano venduti in tutto il mondo, perché parlavano un linguaggio universale, quello del mito. La commedia all'italiana, con il suo impasto di dramma e comicità, permetteva alla società nazionale di rispecchiarsi, evidenziando vizi e virtù di un popolo. Con la diffusione indiscriminata dei serial americani, il nostro immaginario è stato colonizzato siamo cresciuti con "Le strade di San Francisco" e "Happy Days"; preparandoci a diventare degli adulti che mangiano hamburger e vogliono vedere solo film americani trangugiando popcorn! Il cinema italiano così ha perso posizioni sui mercati, ritirandosi sul piccolo schermo e diventando penosamente autoreferenziale. La situazione è stata poi aggravata dalla "statalizzazione" del cinema, posto sotto il diretto controllo della politica con lo sciagurato sistema del finanziamento pubblico. Da quel momento si è iniziato a realizzare film non tanto destinati al pubblico, quanto a racimolare più soldi possibile per creare eserciti di cineasti organici di nessun valore. In questo la politica, quella con la p minuscola, ha un'enorme responsabilità. La 'rivalutazione del cinema del ventennio' da questo pulito di vista, deve essere letta anche come una provocazione: era forse più libera dai condizionamenti politici la cinematografia di una dittatura, come quella fascista, che quella di una democrazia 'clientelare' come la nostra!".Quest'anno sembra ci sia stato il record di biglietti strappati, soprattutto grazie ai film italiani. Che tipo di segnale è?"Un segnale preoccupante... Perché purtroppo coincide con il pulito più basso toccato dal cinema italiano negli ultimi anni. I prodotti commerciali che vengono premiati dal botteghino sono infatti di una qualità desolante, tristi cloni di una comicità para televisiva che da un lato raccoglie consensi e dall'altro impoverisce il panorama culturale nazionale rendendolo succube degli immaginari altrui. Anche i cosiddetti film d'autore licenziati dal nostro Paese, improntati spesso agli ipocriti canoni del politicamente corretto, hanno difficoltà a essere esportati con successo nei festival più importanti; protetti in patria dal favore degli 'opinion maker' vengono giustamente valutati quali mediocri pellicole all'estero".
di Danilo Nardoni
leggi l'articolo
Intervista al antico cinematografico. In libreria il suo ultimo libi che offre una panoramica del settore."Il cinema italiano è in grande crisi"PERUGIA Ci sono pezzi di cinema raccontati e non necessariamente legati fra di loro, ma che pagina dopo pagina si ricompongono per dare piena visione complessiva del cinema italiano contemporaneo. C'è inoltre un cinema a pezzi, molto più difficile da ricomporre. Sono le due facce del nuovo libro di Fabio Melelli, uscito da poco in libreria per i tipi di Morlacchi Editore. Quella che prevarica, già dalla scelta del titolo "Il cinema a pezzi" e non "pezzi di cinema" è la seconda.E' chiara dunque per Melelli l'intenzione di mettere insieme divagazioni sul cinema, ma con la voglia di andare a fondo delle questioni che lo riguardano. Lo fa con la competenza e una freschezza di racconto che solo una penna che sa e conosce veramente questa materia può fare.Il libro del critico cinematografico perugino, conduttore anche dell'originale trasmissione "Storie del cinema" che va in onda periodicamente sull'emittente televisiva umbra Tef Channel raccoglie alcuni suoi articoli pubblicati nel corso degli ultimi anni per il quotidiano L'Indipendente, oltre a una serie di saggi inediti. E da questi articoli, saggi, testi per conferenze e lezioni viene fuori un quadro, un mosaico di interventi dai quali si può evincere la nostalgia per un cinema che va scomparendo "a favore di nuove prospettive evolutive non necessariamente entusiasmanti".Ai ritratti di celebri cineasti italiani e stranieri, come i registi Alberto Lattuada e Sergio Leone, il produttore Peppino Amato, gli attori Tomas Milian e Monica Bellucci, si affiancano tra le altre, le ricognizioni di generi di grande successo come il poliziottesco, il peplum e il western all'italiana, nella convinzione che solo dal passato il cinema italiano può trarre quella forza artistica e produttiva che gli permetterebbe ancora oggi di essere leader nel mercato mondiale.Melelli, già autore, da solo o con altri, di quindici volumi dedicati al cinema, con questa sua nuova fatica affronta dunque una molteplicità di argomenti, affrescando una visione coniplessiva del cinema italiano contemporaneo, stretto tra una fiction televisiva "inguardabile e spesso insulsa" e un cinema hollywoodiano "troppo spesso piegato ai soli termini mercantili". Sono numerosi gli spunti a cui si presta questo libro, che permettono di rivolgere all'autore alcune domande.In copertina troviamo un'immagine sicuramente molto indicativa, del 1916, quella di Mary Pickford con una macchina da presa. Lei infatti, insieme a Charlie Chaplin e altri cineasti dell'epoca, era tra quelle persone che decisero di fondare la United Artists, nell'intento di promuovere un cinema che si discostasse dall'industria hollywoodiana. Arrivando ai gioini nostri, perché il cinema fa ancora difficoltà a liberarsi dir questa "gabbia"? Chi sono, se ci sono, i Chaplin o le Pickford di oggi?"Purtroppo di geni nel mondo del cinema se ne vedono sempre meno, ciò non toglie che anche nel cinema americano riescano a emergere autori non allineati alle pure logiche del mercato. Ma non è un caso che Woody Allen abbia realizzato i suoi ultimi film in Europa e registi corde Martin Scorsese si vedano brutalmente tagliati e rimontati i loro film, privati del cosiddetto "Final Cut", ovvero del controllo assoluto della copia definitiva. Che dire poi di quei cineasti autenticamente indipendenti come De Palma, Cimino, Romero, costretti all'inattività per lunghi anni?".Dopo la lettura di questo affresco sul cinema italiano contemporaneo, si può condividere il fatto che "il cinema è a pezzi", modificando leggermente il titolo che hai scelto. Indichi tra i responsabili, oltre al peso commerciale del cinema hollywoodiano, anche quella specie di cinema che sono le troppo spesso inguardabili fiction televisive. II cinema italiano è ormai solo questo?"Credo che siamo al termine di un processo irreversibile: la televisione, pubblica e privata, ha mutato e pervertito l'immaginario nazionale, impoverendolo oltre ogni misura. Piuttosto che sul cinema cosiddetto impegnato e di denuncia, si è preferito, anche politicamente, investire su un prodotto consolatorio, le cui strutture narrative sono state mutuate acriticamente dagli Stati Uniti. Il lieto fine, l'edulcorazione dei contesti sociali e uno schematico manicheismo sono diventati i punti cardine della fiction, che è inguardabile non solo perché ripetitiva e prevedibile, ma anche perché sembra dimentica della grande tradizione del nostro cinema, tradizione che discende direttamente dalla nostra grande arte rinascimentale. Sul piccolo schermo tutto viene sacrificato alla piena visibilità: non ci sono più le ombre, quindi non ci sono più sfumature psicologiche e la realtà non viene più restituita nelle sue ineliminabili ambiguità".Definisci quella degli anni '70 una cinematografia forte. Ci troviamo costretti a rimpiangere la personalità di registi, attori, caratteristi e produttori del passato. Parli infine di una "rivalutazione necessaria" del cinema del ventennio. Proprio oggi che, come dici, il cinema italiano si sta adagiando su stanchi prototipi, è possibile dal suo passato ritrovare la forza per salvarlo?"Negli anni Settanta, quando Hollywood non aveva ancora investito stilla virtualizzazione dell'immagine con il suo inevitabile correlato tecnologico, il nostro cinema poteva avere un respiro epico agganciandosi a modelli narrativi forti veicolati dalla maschera del genere. I nostri polizieschi, all'epoca bistrattati dalla critica, venivano venduti in tutto il mondo, perché parlavano un linguaggio universale, quello del mito. La commedia all'italiana, con il suo impasto di dramma e comicità, permetteva alla società nazionale di rispecchiarsi, evidenziando vizi e virtù di un popolo. Con la diffusione indiscriminata dei serial americani, il nostro immaginario è stato colonizzato siamo cresciuti con "Le strade di San Francisco" e "Happy Days"; preparandoci a diventare degli adulti che mangiano hamburger e vogliono vedere solo film americani trangugiando popcorn! Il cinema italiano così ha perso posizioni sui mercati, ritirandosi sul piccolo schermo e diventando penosamente autoreferenziale. La situazione è stata poi aggravata dalla "statalizzazione" del cinema, posto sotto il diretto controllo della politica con lo sciagurato sistema del finanziamento pubblico. Da quel momento si è iniziato a realizzare film non tanto destinati al pubblico, quanto a racimolare più soldi possibile per creare eserciti di cineasti organici di nessun valore. In questo la politica, quella con la p minuscola, ha un'enorme responsabilità. La 'rivalutazione del cinema del ventennio' da questo pulito di vista, deve essere letta anche come una provocazione: era forse più libera dai condizionamenti politici la cinematografia di una dittatura, come quella fascista, che quella di una democrazia 'clientelare' come la nostra!".Quest'anno sembra ci sia stato il record di biglietti strappati, soprattutto grazie ai film italiani. Che tipo di segnale è?"Un segnale preoccupante... Perché purtroppo coincide con il pulito più basso toccato dal cinema italiano negli ultimi anni. I prodotti commerciali che vengono premiati dal botteghino sono infatti di una qualità desolante, tristi cloni di una comicità para televisiva che da un lato raccoglie consensi e dall'altro impoverisce il panorama culturale nazionale rendendolo succube degli immaginari altrui. Anche i cosiddetti film d'autore licenziati dal nostro Paese, improntati spesso agli ipocriti canoni del politicamente corretto, hanno difficoltà a essere esportati con successo nei festival più importanti; protetti in patria dal favore degli 'opinion maker' vengono giustamente valutati quali mediocri pellicole all'estero".
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